La serie di disegni dell'architetto Andrea Bosich intitolata "Paesaggi Ipotetici" è stata pubblicata, come n°06, nella collana "Quaderni dell'Angelo".
28 pagine con la prefazione di Alberto Randisi e un'acquaforte originale firmatla e numerata in 20 esemplari.
Riportiamo alcuni disegni e uno stralcio del testo di Andrea Bosich che ringrazio per la disponibilità.
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acquaforte |
Guardare
al paesaggio come a qualche cosa di lontano e di estraneo, di remoto
e di astratto che trova in sé la sua compiutezza – questo era
necessario se esso, il paesaggio, voleva diventare mezzo e occasione
per un’arte autonoma: doveva essere lontano e molto diverso da noi,
per diventare nei confronti del nostro destino un paragone
liberatore. Doveva esser quasi ostile nella sua sublime indifferenza
per dare con i suoi oggetti un nuovo significato alla nostra vita.
Rainer
Maria Rilke
DEL
PAESAGGIO (1902) in DEL
PAESAGGIO E ALTRI SCRITTI
trad.
it. e cura di G. Zampa,
Un
mondo come pura natura dal quale sia assente ogni minimo intervento
umano è un’immagine destinata a restare imprigionata nelle parole
che la promettono, ma che non possono descriverla.I
paesaggi sono la conseguenza dei molteplici modi con i quali la
natura accoglie i segni, le impronte, dell’uomo. Nel corso del
tempo i luoghi naturali hanno contrastato le modifiche con una sempre
più bassa resistenza, salvo poi ristabilire la connaturata inerzia
con eventi “catastrofici”.Per
il carattere adattivo e relazionale che gli è proprio il paesaggio
registra i mutamenti e le dinamiche del mondo contemporaneo,
rappresenta il prodotto artificiale di ogni cultura che definisce la
propria relazione con l’ambiente circostante; non è il mondo che
vediamo, ma è la nostra interpretazione di quel mondo e, come tale,
richiede il tramite di uno sguardo. Il paesaggio non può, in tal
senso, prescindere dagli interrogativi che ogni osservazione
comporta: quale è l’ambito culturale nel quale è stato prodotto?
Quali sono i messaggi che un determinato paesaggio veicola? Quali
fattori ne stabiliscono i codici formali? Domande complesse che ogni
immagine più o meno consapevolmente evoca, e alle quali, a volte, in
qualità di architetti, ci è richiesto di fornire una risposta. Il
paesaggio è sempre e comunque frutto di una costruzione culturale.

Gli
elementi naturali costitutivi di un paesaggio (terra, acqua,
vegetazione, “aria”) e i “segni” lasciati dall’uomo
(percorsi, sbancamenti, muri di contenimento, piantumazioni…)
divengono astratti segni grafici che hanno generato questa raccolta
minima di frammenti e ipotesi di paesaggi, senza un’idea “a
priori”, né tanto meno unica e condivisa, ma sempre frutto di una
costruzione dell’immaginazione.Essenzialmente
antiprospettici, questi disegni si riducono alla loro frontalità e
rimandano alla scrittura come loro autentica struttura.Nati
da una forte premeditazione e dall’abbandono agli automatismi e al
piacere del segno, si divincolano dall’abbraccio salvifico e, al
contempo, distruttivo della natura. Non sono ipotesi di progetto o di
trasformazioni, ma sono trascrizioni che hanno l’imprecisione delle
mappe medievali, ma, nelle stesso tempo, la medesima capacità di
trasfigurazione della realtà.
Un
senso di apparizione sospesa, oscillante, quasi prossima al
dissolvimento che rivela la presenza della bellezza come forma di
instabilità.
Immagini
oscillanti, come un pendolo, tra astrazione e concretezza. Il disegno
può assecondare e sostenere la ragione, ma, in questo caso, ne
rappresenta la medianica esplorazione del lato in ombra.
L’unità
dell’immagine si realizza attraverso un’esplorazione delle
varianti di un caos primigenio. Segni, tracciati, campiture…
tendono alla chiarezza alla verità dei pensieri nascenti.
Per mezzo
di un viaggio a ritroso nel tempo si cancellano progressivamente gli
strati delle trasformazioni per far rivivere l’intatta
disponibilità del contesto naturale. Soggettiva ricreazione di una
forma perduta. Potremmo definire queste rappresentazioni come
l’effetto di una traslazione del paesaggio reale in uno spazio
immaginario i cui confini consistono nei segni disseppelliti da una
reverie
archeologica. In questa traslazione non c’è alcunché di fisso né
di certo, ma tutto è mobile, formalmente preciso, ma sostanzialmente
erroneo, ovvero del tutto ipotetico.
“Paesaggi
Ipotetici” dunque, ovvero rappresentazioni interiori del mondo
costruite da una sublimazione di frammenti relativi a luoghi reali o
soltanto sognati, sintesi di luoghi di affezione che fanno da sfondo
ai mutevoli stati d’animo.
Il
paesaggio è una “categoria” ascrivibile a diversi ambiti
(geografia, storia, arte, filosofia, architettura, ecologia…),
l’argomento è vasto e sfaccettato e non intendo sovraccaricare di
implicazioni teoriche questi frammenti grafici. Il solo ambito che mi
sembra pertinente è nel solco dell’interpretazione romantica della
pittura di paesaggio.
La
terra desolata, la terra promessa, la terra indifferente… il
paesaggio deve il suo fascino alla nostra capacità di percepire in
un frammento, in una veduta circoscritta, un’immagine evocativa del
tutto naturale.
Scriveva
Georg Simmel nel suo celebre saggio “Filosofia del paesaggio” del
1913: «Tutta la nostra vita è caratterizzata dall’allontanamento
dalla natura a cui ci costringe la vita economica e la vita cittadina
che ne dipende. Però, forse, solo mediante questo allontanamento è
possibile che emerga il vero e proprio sentimento estetico e
romantico della natura. Chi è abituato a vivere a contatto immediato
con la natura può certo goderne soggettivamente le virtù, ma gli
manca quella distanza da essa a partire dalla quale soltanto è
possibile una visione estetica. Dalla distanza, inoltre, nasce quella
malinconia, quel sentimento nostalgico di lontananza e di paradiso
perduto che caratterizzano il sentimento romantico della natura.»
In
fondo quella nel paesaggio è una sorta di fuga, estetizzante o meno.
Quindi, il carattere frammentato e intellettualizzato viene sì
superato in una nuova sintesi ma solo al prezzo di rendere totalmente
interiore l’esperienza.