LIBRI DI DIALOGO
Possiamo solo prendere atto che non
esiste una definizione netta, breve e univoca per denominare i libri
con testo e immagini incise o litografate.
LIBRO ILLUSTRATO: si pensa subito agli
albi per l'infanzia.
LIBRO D'ARTE: si pensa subito alle
ponderose monografie patinate.
LIBRO D'ARTISTA: neanche a nominarlo,
ché si pensa a tutto tranne all'oggetto del nostro interesse.
Forse la definizione di PLAQUETTE
risulta quella meno inquinata, ma, in molti casi, insufficiente.
Al dunque, a meno di non adottare una
tortuosa perifrasi, prendiamo atto che, a tutt'oggi, una definizione
aderente non esiste.
Questa necessaria premessa non prelude alla pretesa di far chiarezza, ma alla precisa volontà di complicare
ulteriormente l'argomento, segnalando che tra le tante aggettivazioni
del libro esiste anche quella, coniata in ambito francofono, di LIBRO
DI DIALOGO e qui ne presentiamo uno tra gli esempi più eccelsi.
«Le Chant des Morts» pubblicato a
Parigi da Tériade nel 1948, 148 pagine a fogli sciolti, con poesie
di Pierre Reverdy e 125 litografie di Pablo Picasso tirate in rosso.
Sappiamo che Picasso e Reverdy già si
conoscevano dai tempi di Montmartre e nel 1922 Picasso gli aveva
illustrato "Cravates de chanvre".
Anche se "Le Chantal" è stato l'unico libro
realizzato da Picasso con Tériade, saranno sempre in buoni rapporti
e lo dimostrano i diversi numeri che "Verve" (la rivista di
Teriade) gli ha dedicato.
Non sappiamo quali siano stati i
termini del confronto, cosa si siano detti, quali accordi hanno
portato ad una scelta così estrema: il testo, stampato in
litografia, conserva l'aspetto del manoscritto (data la "scioltezza" calligrafia, azzardo l'ipotesi
tecnica che sia stato scritto su carta "autografica" e
trasferito su pietra); con un linguaggio del tutto astratto Picasso
interviene sui margini della pagina e tra le righe con larghi segni
rossi che, con prepotenza gestuale, anticipano forme di astrazione
successive (penso, per esempio, ad Hartung).
L'unità morfologica punto-linea
riprende certi segni già presenti in alcune illustrazioni per "Le
Chef-d'oeuvre Inconnu" del 1931, ma qui acquistano un'atrazione
totale e il risultato fu giudicato sconcertante dai critici e dai
collezionisti.
L'idea del dialogo si afferma su
diversi piani, il più immediato ed evidente è quello formale
dell'intreccio visivo di segni scritti e segni grafici, ma credo che
si possano individuare ulteriori piani più sottili e sfuggenti.
Il concetto di "Libro di Dialogo"
aveva avuto precedenti ben riusciti - citiamo "Parallèlement"
di Paul Verlaine con litografie di Pierre Bonnard, pubblicato da
Vollard nel 1900.
Sappiamo bene quanto "dialogare" sia
difficile, per questo gli esempi di libri di questo tipo sono rari,
più semplice gestirsi ciascuno il proprio spazio individuale, spesso
ignorando o prevaricando volutamente l'apporto dell'altro autore.
Anche in un precedente post avevo fatto
cenno all'esasperata individualità alla quale ritengo vada
contrapposta un'idea, passatemi il termine, di convivialità nel
concepire le edizioni.
È proprio la disponibilità al
"dialogo" che manca alla maggior parte delle iniziative
editoriali contemporanee, è sintomatico, forse di una qualche
psicopatologia, se spesso, anche in plaquettes di pochissime pagine,
testo e immagine non si confrontano neanche su pagine adiacenti.
Fortunatamente, come già segnalato, rispetto all'autoreferenzialità
dilagante, sopravvive ancora qualche eccezione.