Da
qualche anno contribuiamo, con un post, alle celebrazioni per la
#GiornataMondialeDelDisegno , cercando di coniugare disegni (dal
manuale al digitale) con una riflessione eterodossa sul progetto di
architettura. Abbiamo iniziato con una rassegna di taccuini come
"luogo" di elaborazione d'idee per architetti e artisti;
nel 2020 una serie di interpretazioni di "Casa Krespel" da
un racconto di E.T.A. Hoffmann e, lo scorso anno la riedizioni di
"Paradoxe sur l'architecte" di Paul Valéry con i disegni
di venti architetti italiani nati tra il 1939 e il 1991. Quest'anno
lo spunto deriva ancora da un racconto.
Contravveniamo
al principio di mantenere il segreto sui nuovi progetti e anticipiamo
una possibile edizione, forse temendo non tanto che qualcunaltro si
appropri dell'idea, quanto di non riuscire a realizzarla.
Lo
spunto nasce dal racconto "Un cimitero perfetto" che è
anche il titolo originario (El
cemeterio perfecto)
della raccolta di racconti dello scrittore argentino Federico Falco
(General Cabrera, 1977) tradotta in italiano da Maria Nicola e
pubblicata nel 2018 dall'editore Sur di Roma con il titolo "Silvi
e la notte oscura" e poiché non siamo ancora in possesso di
alcuna autorizzazione, chiunque vorrà potrà precederci.
Il
racconto ci piace moltissimo, il titolo dice tutto e le immagini che
alleghiamo completano il senso che vorremmo dare.
Le
immagini sono inserite in corrispondenza dei “tagli” apportati al
testo. Per ridimensionare il racconto a misura di un post si è
provato ad usare il bisturi per estrapolare i brani riguardanti
strettamente il progetto, la realizzazione e le connesse
considerazioni, ma mi rendo conto che il testo risulta comunque
falcidiato a scapito delle molteplici corde che l'autore riesce a far
vibrare.
Mi
meraviglio e apprezzo moltissimo quando uno scrittore riesce a
cogliere e restituire alcune considerazioni che si ritengono
riservate agli "addetti ai lavori", in questo caso le
mostre di disegni di progetto o gli intralci dovuti a beghe politiche
o il valore dell'equilibrio compositivo...
Anche
quando si tratta di progetti realizzati si è scelto di presentare
solo disegni - da estemporanei schizzi di studio a elaborate
prospettive - e
sono stati inseriti a scandire il testo in corrispondenza dei tagli
effettuati.
Le
immagini sono state in larga parte prese da
Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli
autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione non avranno
che da segnalarlo e si provvederà alla rimozione.
E.L. Boullée, Progetto di
cimitero, 1785.
«...la
signorina Mahoney, la segretaria del sindaco, lo portò a vedere
i terreni. Era una donna alta, un po' cavallina, con i fianchi larghi
e i denti grandi, a paletta. Portava i capelli molto corti e ricci,
un tailleurino marrone e una corta collana di perle rosse.
È
un peccato che in tutti questi anni non abbiamo mai avuto un
cimitero, disse. Con tutti i defunti eminenti che abbiamo ceduto a
Deheza. Persone che hanno fatto cose importanti per il paese, persone
di merito, che avevano vinto dei premi.
Deheza
era il paese vicino, a meno di dieci chilometri, costeggiando le
montagne.
Com'è
che finora non avevate mai pensato di costruire un cimitero?, chiese
Victor Bagiardelli.
La
signorina Mahoney alzò le spalle.
Pigrizia,
disse. O consuetudine. Qui la gente è abituata a portare i morti a
Deheza. Non pensano che si può cambiare. Sono fatti così.
Camminavano
su per il colle, al termine di una strada sterrata. Non c'erano case
nei dintorni, solo terra incolta e i sassi del sentiero che saliva.
Era una mattina chiara, asciutta, fredda, ma con molto sole e il
cielo trasparente.
Tutti
questi, fin su, fino alla sella, sono terreni demaniali, disse
la signorina Mahoney. Quindi, dove preferisce lei.
Una
boscaglia bassa e arruffata copriva il colle come una coperta ruvida.
Erano acacie spinose piene di licheni ed erba secca.
Victor
Bagiardelli si voltò e guardò verso la pianura. Coronel Isabeta si
stendeva ai suoi piedi, in fondo al sentiero: tetti scoloriti,
alberi senza grazia e il campanile della chiesa. Dopo il paese, la
statale luccicante e due auto che passavano veloci, dirette a Deheza.
Più in là, la pianura quadrettata di campi e, al termine
dell'aria deserta, l'orizzonte che sfumava in un vapore, in una
lontananza tremolante.
Un
rovere, disse Victor Bagiardelli. Nel punto più alto un rovere, e
sotto il rovere una grande panca, così la gente potrà sedersi a
contemplare il paese dei vivi, le case, la campagna, l'infinito
dove la vista si perde e tutto sembra terminare, ma non termina.
Aveva
già davanti agli occhi il nuovo cimitero. Il luogo era insuperabile,
non ne avrebbe mai trovato uno uguale. Aprì il blocco di appunti e
tracciò un rapido schizzo. Percorse il terreno mordicchiando
l'estremità della matita e declamando idee a voce alta. Passò fra
le acacie senza far caso alle spine che lo graffiavano. Spighe
uncinate gli si attaccavano alla camicia senza che lui ci
badasse. I cardi gli tiravano l'orlo dei pantaloni, ma lui non se ne
accorgeva nemmeno. Il suo passaggio alzò una nuvola di polvere che
lo fece starnutire. Victor Bagiardelli si fermò nel punto più alto
della collina e lì, immobile, il blocco stretto sotto l'ascella,
le mani dietro la schiena, socchiuse gli occhi e cercò di fissare
l'orizzonte. Poi tornò a disegnare. Incorniciò il paesaggio con
l'indice e il pollice a squadra, stese le braccia per misurare le
proporzioni, prese appunti, masticò esclamazioni. Le sue
pupille tracciavano nell'aria il cimitero immaginato.
Un
viale di platani che dal cancello d'ingresso porti a una cappella con
le pareti bianche, disse, e la signorina Mahoney annuì.
Sentieri
con un andamento a esse. Verso nord, un boschetto di araucarie e
di pini del Paranà aperti come parasole. Agapanti, agapanti,
molte azalee, ma soprattutto agapanti. E su questo pendio che scende
dolcemente, un tappeto verde su cui adagiare le tombe a terra.
La
signorina Mahoney lo guardava estasiata.
Sotto,
nella valletta, un giardino di rose bianche per i bambini e i nati
morti. In quell'angolo, l'ossario, circondato e protetto da
pioppi tremuli. Più in là, un filare di faggi e magnolie che
orienti lo sguardo. E in questa zona, il mio tocco da maestro, il
grande semicerchio di salici piangenti, con la loro cortina che cadrà
fino a terra, così nei giorni di brezza accarezzeranno con le dita
le lapidi dei morti.
Verrà
bellissimo, disse la signorina Mahoney. Sapevo che lei era il
migliore, disse, e trascinò Victor Bagiardelli verso il municipio.
 |
Claude-Nicolas Ledoux,Cimitero
di Chaux, 1785 circa. |
Meglio
di così, impossibile, approvò il sindaco, e cominciò a fare
domande su preventivi e onorari. Per dirigere i lavori, Victor
Bagiardelli era disposto a passare l'inverno in paese, il che
significava una parcella quattro volte più sostanziosa che se avesse
fatto solo il progetto. In compenso il sindaco avrebbe
risparmiato sui costi di esecuzione, perché si sarebbe potuto fare
quasi tutto con i dipendenti del comune e con manodopera locale.
Quando fosse venuto il momento di comprare gli alberi, Victor
Bagiardelli promise di ottenere uno sconto consistente in un paio di
vivai da cui si riforniva abitualmente.
II
problema è la ruspa per disboscare la collina, disse il sindaco.
Quelli di Deheza ce l'hanno, ma neanche morto gliela chiedo.
Ne
affittiamo una, suggerì la signorina Mahoney.
Mi
fa salire i costi.
Niente
è gratis in questa vita, disse Victor Bagiardelli. Anche se per lei,
per il paese, siccome reputo che questa collina abbia un altissimo
potenziale, mi sento di fare un piccolo sacrificio e rinunciare a una
percentuale del mio onorario.
Ricominciarono
a sommare e a sottrarre e in meno di un quarto d'ora si erano messi
d'accordo.
Adesso
ci vuole l'approvazione del consiglio comunale. Andiamo a parlarne
con Romero, disse il sindaco, e si alzò dalla scrivania e si mise la
giacca.
Riattraversarono
la piazza in diagonale. Romero faceva il meccanico. Lo trovarono
sdraiato sul pavimento, sotto un camioncino azzurro che perdeva olio.
Questo
è Romero, il consigliere, disse il sindaco Giraudo.
Io
mi oppongo, dichiarò Romero mentre si alzava in piedi.
A
cosa?
Al
cimitero nuovo.
Perché?
Per
principio, disse Romero.
E
i tuoi morti dove pensi di metterli?
Io
sono solo. Il povero papa e la povera mamma li ho a Deheza.
E
il bene comune?, protestò il sindaco.
Il
tuo bene personale, vorrai dire. È il tuo vecchio che va in cerca di
una tomba, gli rispose Romero.
Il
sindaco sbuffò due volte, si girò e se ne andò senza salutare.
Victor Bagiardelli lo seguì in silenzio.
Ha
capito con cosa mi tocca brigare?, disse il sindaco quando ormai
erano rientrati in municipio.
F. Schumacher, Studio per
crematorio, 1889.
Quello
stesso pomeriggio una Renault 12 scassata girò per le strade di
Coronel Isabeta. Due altoparlanti fissati al portapacchi annunciavano
una consultazione popolare per la domenica successiva e, allo stesso
tempo, facevano pubblicità al progetto del nuovo cimitero,
esortando i votanti a non seppellire più i loro morti a Deheza. Sono
i nostri defunti e li vogliamo vicino a casa!, gridava la voce
registrata del sindaco mentre in paese calava la sera.
Dobbiamo sbrigarci, gli sussurrò all'orecchio il sindaco la mattina in cui posarono la prima pietra e diedero il via ai lavori.
Giuseppe Damiani Almeyda,
Particolare di prospetto per
un “Gran Camposanto”.
L'idea
era attaccare il colle da diversi fronti in contemporanea. La
prima cosa fu aprire una strada per il camion che doveva portare i
mattoni e i sacchi di cemento sulla spianata dove due muratori e un
capomastro già scavavano le fondamenta di quella che doveva essere
la cappella. Nel frattempo, una squadra di operai del comune avrebbe
tirato su il muro di cinta e un'altra avrebbe cominciato il
disboscamento a mano, avanzando nella boscaglia dal basso,
aiutandosi con le falci per le zone di sole erbacce, e con
motoseghe e catene per gli alberi che la ruspa non sarebbe
riuscita ad abbattere. Victor Bagiardelli, intanto, sistemò il
suo tavolo da disegno in mezzo alla strada, proprio ai piedi del
colle, di fronte al punto dove sarebbe sorto il cancello di ferro
che durante la notte avrebbe separato i vivi dai morti. Da lì, in
piedi sotto il sole pallido dell'inverno, facendosi visiera con
le mani, dava ordini e contemplava il terreno del futuro
cimitero. Lo studiava, lo memorizzava fino a farlo completamente suo,
chiudeva gli occhi e per mezzo minuto, mentre aspettava che le
idee decantassero, mordeva l'estremità della matita. Poi, come
se si svegliasse da un sogno, apriva gli occhi e senza esitazioni,
con tratti rapidi e sicuri, disegnava i sentieri che un giorno
avrebbero percorso i dolenti, gli isolotti di alberi che
avrebbero fatto loro ombra, le aiuole di fiori che avrebbero
confortato la loro pena.
 |
M. de Klerk, Progetto per
cimitero, 1910. |
Il
giorno dopo Vìctor Bagiardelli dovette andare a una cena che la
Pro Loco aveva organizzato in suo onore […] La padrona di casa era
una vedova amabile ed entusiasta che mentre tutti ascoltavano il coro
locale intonare un paio di canzoni andò a cercare Victor
Bagiardelli nell'angolo dove aveva trovato rifugio e si
complimentò per le sue opere.E
un grandissimo onore averla qui, gli sussurrò all'orecchio. Ho
visto personalmente i suoi cimiteri a Olaeta e a Charras, e anche
quello di Villa Granado, e quello di Los Terrales. Il mio defunto
marito è a Deheza, ma ho già deciso che non appena verrà
inaugurato il suo cimitero lo farò trasferire qui.
Victor
Bagiardelli la ringraziò con un inchino della testa.
Mi
dica, continuò la signora, e posò la mano carica di anelli sul
braccio del progettista di cimiteri. Ha mai pensato di fare una
mostra con i suoi bozzetti e i suoi disegni?
Non
vedo a chi potrebbe interessare, rispose Victor Bagiardelli.
Sono
sicura che si tratta di arte! Arte pura! Dovrebbe decidersi a
esporli.
Non
ne vale la pena, rispose lui. Io non cerco una bellezza che si
appende alle pareti, preferisco un altro tipo di bellezza,
quella che conforta, che avvolge, che accompagna e consola.
Oh!
Che parole sagge!, esclamò la padrona di casa.
 |
Carlo Scarpa, Tomba della
Famiglia Brion, San Vito di Altivole, 1969-78. |
Per
Victor Bagiardelli quell'omaggio non era altro che una seccatura. Lui
voleva solo creare il cimitero più bello che si fosse mai visto, e
cenare tranquillo in albergo, senza che nessuno lo tormentasse con le
domande o si aspettasse da lui aneddoti o frasi profonde; senza che
nessuno venisse a seccarlo con storie di paese o cercasse di
strappargli la sua opinione su questo o quel cimitero. Victor
Bagiardelli voleva essere lasciato in pace nella sua stanza, con
i suoi libri, il suo blocco di appunti, il suo mangiacassette
portatile. E nel pomeriggio, quando gli operai riponevano gli
attrezzi e sul colle del cimitero non rimaneva più nessuno, lui
faceva una doccia, metteva una camicia pulita e usciva a camminare
nella vasta pianura, allontanandosi da Coronel Isabeta.
Aldo Rossi, Cimitero di Modena.
L'indomani
Vìctor Bagiardelli partì. Doveva andare in città, fare il giro dei
vivai, ordinare gli alberi, le piante, le sementi per il prato,
cercare un bel rovere che tollerasse bene il trapianto, […]
Rimase
lontano da Coronel Isabeta una settimana intera. Quando tornò, il
camion che trasportava la ruspa lo attendeva ai piedi del colle.
Nell'alba gelata e arancione il paese intero si radunò per vedere i
cingoli della ruspa scendere a terra in equilibrio precario sulle due
rampe.
 |
Alessandro Anselmi, Cimitero
comunale, Santa Severina, 1974-80. |
Allora
Vìctor Bagiardelli montò il suo tavolo in mezzo alla strada e, come
un maestro di musica, incominciò a dirigere i movimenti della
ruspa. La fece salire su per la collina e radere al suolo la
boscaglia. Un groviglio di erbacce, di rami spinosi e rampicanti
cadeva e si schiacciava al suo passaggio. La macchina saliva senza
fermarsi, coprendo di fumo nero l'aroma della terra aperta e delle
radici spezzate. Le pagliuzze di mica delle pietre dissotterrate
rifulgevano sotto il sole invernale e viluppi di radici, che
fino a un secondo prima si diramavano nella fresca oscurità della
collina, ora sporgevano a ciuffi ai due lati della pala frontale.
Infine, col motore su di giri, la macchina arrivò là dove sarebbe
cresciuto il rovere, nel punto più alto del cimitero, e Vìctor
Bagiardelli le ordinò di scendere e ricominciare.
A
metà pomeriggio il colle era una rotondità dalla superficie
levigata. Liberati dalla vegetazione, i terreni finalmente mostravano
la forma che l'occhio esperto di Vìctor Bagiardelli aveva
indovinato durante le sue esplorazioni. Con un gesto del braccio,
ordinò di riportare la ruspa sul camion.
Roberto Mariotti, Nuovio
cimitero di Nizza, 1982-1986.
La
consultazione popolare è stata un colpo basso, gli aveva detto il
fabbro la prima volta che era andato a trovarlo. Non è stato
bello scavalcare il consiglio comunale.
Vìctor
Bagiardelli aveva disegnato il cancello d'ingresso a grandi sbarre
coronate da un fregio molto scenografico. Sul bozzetto, un duplice
nodo di ferro interrompeva ogni sbarra alla stessa altezza per poi
dare vita a una languida fiamma di candela: il ferro stesso si
assottigliava verso l'alto, fino a sfumare. Era un cancello degno del
cimitero che aveva in mente, ma temeva di non trovare l'artigiano che
fosse in grado di realizzarlo, perché a Coronel Isabeta c'era
soltanto un fabbro, ed era il cugino del consigliere Romero.
Non
lo aveva fatto entrare nell'officina. Aveva socchiuso la porta
di lamiera e gli aveva parlato sul marciapiede.
Il
lavoro è lavoro, Enrique, aveva detto la moglie del fabbro,
affacciandosi alle sue spalle.
Su,
faccia vedere questo bozzetto, disse allora il fabbro prendendo i
fogli. Li guardò in fretta e li passò alla moglie. Le sue dita
sporche di grasso rimasero impresse sul disegno fatto con cura.
Venga
a prenderlo fra un mese, disse.
Si
capiscono bene le volute? E l'effetto del fregio?, chiese Vìctor
Bagiardelli. I nodi devono intendersi come un'allegoria delle
complicazioni della vita, e poi sciogliersi verso l'alto,
nell'ascesa.
Il
fabbro lo guardò fisso per un istante e tornò dentro.
Lei
non si preoccupi e venga fra un mese, disse la moglie.
Ma
Vìctor Bagiardelli non si fidava, e ogni tre o quattro giorni, prima
di salire al colle, passava dall'officina con l'intenzione
di controllare i lavori del cancello, di accertarsi che il fabbro
avesse capito bene le istruzioni e di vedere se, fuse nel ferro, le
curve e le controcurve che aveva immaginato per il fregio
superiore riuscivano a produrre l'effetto drammatico ed elegante che
aveva in mente. La moglie del fabbro lo riceveva sul marciapiede. Del
fabbro si sentivano solo le martellate sul ferro incandescente. Ogni
volta che Victor Bagiardelli cercava di entrare, la donna gli
sbarrava il passo.
Adesso
no, che ha da fare ed è di cattivo umore, diceva. Ha preso l'impegno
di affilare dei vomeri e più tardi deve finire l'asse di una
mietitrebbia.
Ma
il cancello? Ha cominciato a lavorare al cancello?, chiedeva Victor
Bagiardelli.
Lei
vada, non si preoccupi, lui sa quello che fa, gli rispondeva la
moglie del fabbro prima di salutarlo. Victor Bagiardelli se ne
andava, e masticando i suoi dubbi e la sua sfiducia si incamminava
verso il cantiere del nuovo cimitero, montava il suo tavolo di
fronte al colle, si faceva visiera I con la mano e di lì controllava
come procedevano la concimazione del terreno, la cappella, il sistema
di irrigazione, i lavori in generale.
Arnaldo Pomodoro, Cimitero di
Urbino. 1982.
Forse,
mormorò, ricorro con eccessiva frequenza agli elementi che so che
funzionano. Forse, si disse Victor Bagiardelli, con l'età ho
perso il gusto del rischio, l'adrenalina del creare da zero.
In
poco tempo ognuno dei semi che gli addetti municipali avevano sparso
a manciate sul colle si trasformò in un ciuffetto di fili appuntiti
che sporgevano dalla terra smossa. Era ancora un'erba minima, ma
quando dal suo tavolo in mezzo alla strada Victor Bagiardelli alzava
gli occhi e contemplava la collina, i fili d'erba si sovrapponevano
fino a far predominare sul marrone scolorito della terra il verde
brillante del prato appena nato. Prima dell'arrivo dell'estate
un paio di tombe, o cinque, o sei, o dieci, avrebbero creato
delle convessità su quella superficie levigata. Per il momento, era
una collina magnifica. Più in alto, sulla spianata,
cominciavano i lavori per la copertura della cappella, il muro di
cinta era già terminato: il cimitero prendeva forma. Era venuto
il momento di scavare le buche, e Victor Bagiardelli passò una
settimana su e giù per il colle, sfidando il vento con i suoi
grandi disegni aperti fra le mani. Lo seguiva un impiegato del comune
con un fascio di paletti sulla spalla. Con lunghe falcate istintive,
Victor Bagiardelli misurava il terreno e in ciascuno dei punti
dove sarebbe cresciuto un albero o un arbusto faceva piantare un
paletto e ci annodava uno straccio rosso in cima. Nel tracciare
il semicerchio di salici, Victor Bagiardelli si ricordò della tomba
di Almirante Costanzo dove riposava la madre della signorina
Mahoney e si chiese se non stesse cominciando a ripetersi.
 |
Luciano. Semerani, Gigietta. Tamaro,
Cimitero a Pesaro.
Il
vento della pianura, nella luce grigia del ciclo invernale,
faceva vibrare i tronchi esili appena piantati, e dal suo tavolo
di lavoro sulla strada Vìctor Bagiardelli immaginava come sarebbe
apparso quel luogo quando lui non fosse più stato lì. La cappella,
in alto, sembrava uscita da un libro di fiabe. Il prato, forte e
folto, ammorbidiva la collina, con i suoi rizomi che si propagavano
velocemente. L'ossario, nella valletta, era discreto, appena una
croce di marmo, una porta metallica che conduceva nella cripta e due
angeli di cemento, ma di buon gusto, a custodia dell'ingresso. Nel
roseto dei bambini già si allungavano gli steli spinosi, e il
disegno
tracciato dalla disposizione delle piante fra i vialetti di ghiaia
rossa si indovinava senza sforzo. Entro un paio dil
settimane
sarebbero comparsi i primi boccioli bianchi.
Misero
a dimora pioppi e frassini a radice nuda. Svolsero la iuta umida in
cui erano arrivati e li appoggiarono sul fondo delle buche che
gli operai del comune avevano meticolosamente scavato. Poi
riempirono le buche con la terra concimata e la bagnarono con l'acqua
dell'autocisterna. I platani del viale centrale, i cipressi, le
casuarine, gli amoli e i pruni rossi, i gingko biloba che avrebbero
acceso di giallo la valletta, li piantarono direttamente con la loro
zolla di terra, così come erano arrivati dai vivai. Non erano, per
il momento, niente di più che alberelli stenti legati ai loro
tutori, solo rami con le gemme in letargo, addormentate. Appena
si fosse allentata la morsa del freddo le radici avrebbero
scoperto la loro nuova libertà, si sarebbero distese e avrebbero
cominciato a propagarsi nella terra fertile, sempre più in
profondità, fino al centro del colle. In superficie il tronco si
sarebbe ingrossato e i rami si sarebbero coperti di foglie nuove. Per
la fine della primavera, le forme che Vìctor Bagiardelli aveva
immaginato in solitudine avrebbero lasciato assorti gli abitanti
di Coronel Isabeta. E così per anni e anni, mentre gli alberi
sarebbero cresciuti fino alle massime dimensioni raggiungendo la loro
forma ideale, mentre i colori del fogliame sarebbero cambiati
con le stagioni, e sempre, ogni mese, esattamente come lui aveva
previsto, ci sarebbe stato qualche arbusto fiorito, ed estate dopo
estate gli aromi del polline fresco avrebbero inondato l'aria.
Ogni volta che fosse morto un abitante di Coronel Isabeta e il corteo
funebre avesse accompagnato il suo corpo al cimitero, gli alberi che
Vìctor Bagiardelli aveva scelto avrebbero chinato i loro rami per
alleviare l'angoscia dei dolenti.
II
cimitero era finito. Mancavano solo il cancello d'ingresso e il
rovere, nel punto più alto.
Due
giorni dopo, il fabbro provvide alla consegna del cancello. Lo
portarono con un camioncino, i due battenti uno sopra l'altro. Lo
scaricarono in cinque. I cardini non erano ancora pronti, perciò lo
appoggiarono contro i pilastri per i vedere che effetto faceva. Era
un cancello magnifico. Il fabbro aveva rispettato il bozzetto fin nei
più piccoli particolari. I nodi del fregio erano brutali e
categorici. La tensione del metallo li superava di slancio e le
sbarre salivano verso l'alto, facendosi più sottili e leggere fin
quasi a svanire stagliate contro il cielo. E al centro, nel cerchio
che si formava quando i due battenti si univano, e dove il
chiavistello andava a infilarsi nel suo laccio, le due iniziali:
la C di Coronel e la I di Isabeta, lievemente inclinate verso destra
con svolazzi e viticchi che si sfioravano con eleganza.
Negli
occhi di Victor Bagiardelli brillavano lacrime di commozione.
Le
devo le mie scuse, disse al fabbro stringendogli la mano. È una vera
opera d'arte.
Bello,
no? La parte di sopra mi ha fatto imprecare parecchio, ma è
venuto abbastanza bene.
È
stupendo, disse Victor Bagiardelli.
Domani
portiamo la fattura in comune, disse la moglie del fabbro, alle sue
spalle.
G. Motta, A. Pizzigoni, Cimitero
a Lissone.
Victor!,
insisteva la voce.
II
vento soffiò tutta la notte su Coronel Isabeta, ma non turbò i
sogni da uomo esausto e soddisfatto che cullavano Victor Bagiardelli.
[…] Il primo sole batteva sulle imposte. Ora si indovinava il
contorno dei mobili nella stanza. Lo specchio era una macchia di luce
tenue.
Lui
aveva la bocca impastata, i capelli unti. Il suo odore, che
impregnava le lenzuola tiepide, lo avvolgeva come un bozzolo.
Vìctor,
è importante, insistè per la terza volta la signorina Mahoney.
Allora
si sollevò e la vide lì, seduta sul bordo del letto, come
un'apparizione. La signorina Mahoney si sforzava di guardarlo con
severità, lui se ne accorse subito. […] Si vesta, disse la
signorina Mahoney. Il sindaco vuole vederla immediatamente.
Attraversarono
la piazza di corsa, la signorina Mahoney davanti, trattenendo a due
mani le falde del cappotto perché il vento non lo gonfiasse,
Vìctor Bagiardelli dietro, senza sapere di preciso perché correva.
C'è
qualche problema?, chiese.
Sì,
disse la signorina Mahoney.
Entrarono
nel municipio […] La signorina Mahoney proseguì dritta verso
l'ufficio del sindaco.
Hanno
fatto ricorso, disse Giraudo quando li vide entrare.
Victor
Bagiardelli lo guardò senza capire.
Si
tratta del rovere, disse il sindaco. Dove l'ha preso?
L'ho
comprato.
Da
chi?
Da
una coppia di coniugi, vendevano gli alberi del loro parco. Un
collega mi ha fatto il loro nome.
Si
è venuto a sapere quanto costa e Romero si è messo a dire che
abbiamo gonfiato la fattura, continuò il sindaco. Sinceramente,
vedendo i numeri, è una pazzia spendere tanto per una pianta.
È un bel
rovere, ha quasi dieci anni, quello è il suo prezzo, disse
Victor Bagiardelli. E fondamentale che sia un rovere adulto e
colpisca l'occhio. E il punto focale della composizione. Ciò
che attirerà rutti gli sguardi.
E
minaccia anche di denunciarci, me per peculato e lei per truffa.
Ma
questo è assurdo.
Stia
tranquillo, disse il sindaco. Lo so che lei non ha nessuna colpa e ha
agito in buona fede. Ho tre avvocati che ci stanno lavorando. Però
dovremo fare a meno del rovere.
Impossibile!,
disse Victor Bagiardelli.
Il
sindaco si alzò in piedi dietro la scrivania.
Mi
ascolti bene, disse. Questo comune non sborserà una simile fortuna
per un albero, e meno ancora per il trasporto. Non so che
diamine aveva in testa quando si è immaginato che potessimo
permetterci una cosa del genere. Quindi cancelli l'ordine e non se ne
parli più.
Ma
la buca è già fatta.
La
riempia.
Il
fatto è che senza il rovere mi si scompensa tutta la composizione.
Il
sindaco era stanco. Si lasciò cadere sulla poltrona e si prese le
tempie fra le mani.
Sono
sicuro che non c'è nessun bisogno di quel rovere, disse. Il cimitero
è già bello così com'è, ha fatto un gran lavoro.
Lei
non capisce...
Io
capisco tutto, caro mio.
 |
L. Berretta, A. Cordeschi, F.
Quattrini, Cimitero a Ciampino.
Il
cimitero perfetto si era trasformato in un fallimento.
Quel
pomeriggio, invece di camminare per i campi verso l'orizzonte, Vìctor
Bagiardelli andò al cimitero quasi finito. Si fermò dove
montava sempre il suo tavolo da lavoro portatile e rimase a guardare
il colle. Era impossibile non notare che in alto, sulla sommità,
mancava qualcosa: una panca nuda, priva di riparo. Un capolavoro
senza la sua conclusione trionfale.
Immaginavo
che lei fosse qui, disse la signorina Mahoney interrompendo i suoi
pensieri. E che forse aveva bisogno di compagnia.
 |
Andrea
Dragoni,
Cimitero
di Gubbio. |
L'equilibrio
estetico della composizione è completamente rovinato, disse
Victor Bagiardelli. L'assenza del rovere distrugge l'armonia
dell'insieme. Le linee di fuga non portano da nessuna parte. Si rende
conto? Sono sicuro che capisce quello che le dico.Lo
capisco, ma non è così grave, disse la signorina Ma-honey.
Un
fiasco, disse Vìctor Bagiardelli. Avrebbe potuto essere
perfetto ed è un fiasco.
Non
sia così duro con sé stesso, è un cimitero bellissimo, disse la
signorina Mahoney. E sulla cima possiamo mettere qualunque altro
albero. Con gli anni crescerà e farà volume.
Non
è lo stesso, disse Victor Bagiardelli.
Su,
camminiamo un po', smetta di pensarci, disse la signorina
Mahoney, e gli battè una mano sulla spalla.
Il
vento della notte precedente aveva spazzato via le nuvole grigie
e burrascose che per giorni avevano coperto il cielo, e adesso il
tramonto era sereno su Coronel Isabeta.[…]»