SCENOGRAFICAMENTE
La
scenografia rappresenta, per gli artisti non scenografi di
professione, un'occasione per belle soddisfazioni o per cocenti
delusioni.
Il
problema è connesso al controllo della forma: tra l'ideazione, che
l'artista può controllare direttamente, e la realizzazione, che
necessariamente deve essere demandata ad altri, si produce una
soluzione di continuità che, a volte, risulta insanabile.
Generalmente
il ripetersi dell'impegno è sintomo di soddisfazione da parte
dell'artista, del committente e del pubblico, così come l'occasione
unica denuncia che qualcosa non è andata per il giusto verso.
La
difficoltà di controllo si presenta anche per chi ha attitudine a
demandare la concreta costruzione, mi riferisco agli architetti che,
non meno frequente degli artisti cono incappati in errori di
allestimento.
In
questo caso, al controllo della forma, come l'abbiamo definita, si
aggiungono le deformazioni visive imposte dal particolare punto di
vista dello spettatore teatrale di cui la messa in scena deve tener
conto non potendo semplificarsi in un'architettura a scala ridotta.
Qui
si è scelto di documentare solo bozzetti autografi rinunciando ad
indagare quanto fedeli siano stati I risultati gli allestimenti.
Da
qualche tempo i fondali sono stati sostituiti da maxi schermi con
proiezioni di immagini statiche e filmati in movimento, un possibile
prossimo traguardo riguarderà la proiezione di ologrammi, ma questa
è un'altra storia che non saremo noi a poter raccontare.
Cocteau
volle coinvolgere Satie e Picasso nel suo progetto di un balletto
realistico e moderno, nell'estate del 1916 ottiene la loro adesione e
subito ha inizio il lavoro a tre. Il
viaggio in Italia di Picasso dura otto settimane, nella primavera del
1917 arriva nella «città eterna» assieme all'amico Jean Cocteau
richiamato da Diaghilev per dare il via al progetto relativo alla
scenografia e ai costumi di Parade.
Nel
1934, al Teatro Argentina di Roma, andò in scena La figlia di Jorio,
di Gabriele D’Annunzio, con la regia di Luigi Pirandello,
protagonista la prediletta attrice del drammaturgo, la bella Marta
Abba (1900-1988) e il grande attore Ruggero Ruggeri (1871-1953), con
adeguate scenografie e costumi di de Chirico, che riesce a rendere i
anche gli ambienti rustici di questa tragedia pastorale. Secondo
Moreno Bucci (1989) “nei bozzetti eseguiti per la tragedia di
D’Annunzio l’artista si sforzò di rendere manifesta la
stilizzazione arcaica e pastorale del testo; ci sono inoltre rimandi
espliciti alla messinscena di Michetti (1904), ed alle illustrazioni
di De Carolis (1904) […]; aggiungendo che dal Carteggio
D’Annunzio-Pirandello, si viene a conoscere delle precise
indicazioni dell’autore al regista; «Anche penso che tu vorrai
ridurre l’allestimento scenico a pochi rilievi essenziali», e
Pirandello: «Farò di tutto perché gli attori sotto la mia guida si
guardino da quella preziosità letteraria di cui altre volte si sono
compiaciuti. Ho intanto ottenuto dal pittore Giorgio de Chirico
bozzetti di scene, in questo senso, perfetti».
Renato
Guttuso: «La scena si deve vedere. Una scenografia che non si fa
notare è sempre una brutta scenografia.»
La
Carmen, musiche di Bizet, testo di Meilhac, andò in scena al Teatro
dell'Opera di Roma nella stagione 1970 e 1972/73
Bozzetto
per il Nabucco, 1958.
Salvatore
Fiume (1915-1997) per il Teatro alla Scala di Milano curò, fra il
1952 e il 1967, le scenografie per otto produzioni teatrali.
Vi
sono due testi di Piero Guccione, ambedue del 1990 a pochi mesi di
distanza. Il primo "Un omaggio alla mediterraneità" è
stato scritto per il programma di sala della Norma di Bellini: 《...il
potenziale emotivo e l'estate a bellezza della musica del capolavoro
belliniano mi hanno spinto al confronto anziché scoraggiarmi... le
idee e i sentimenti registrati nei miei piccoli fogli 32 x 24 di
cartoncino Canson. Vedremo se riusciranno a diventare teatro,
spettacolo emozione collettiva.》
Per
una mostra che segue la rappresentazione teatrale scrive: 《i
pastelli raccolti qui [...] sono stati eseguiti in un secondo tempo,
dopo il debutto dell'opera, sulle scene già realizzate [...] Con i
pregi e le qualità delle cose compiute, ma con tutti i difetti di
cui quell'allestimento ebbe particolarmente a soffrire: soprattutto
per i ritardi e la disorganizzazione nel predisporre [...] oltre che
per la mia inesperienza. 》
Scenografie
e costumi ideati da Tullio Pericoli per il melodramma “Elisir
d'amore” di Donizzetti andato in scena all'Opemhaus di Zurigo nel
1995 e al Teatro alla Scala di Milano nel 1998.Alle
pagine 32 e 33 di “Pensieri della mano”, Ed. Adelphi, 2014,
scrive: «Mi ricordo che avevo consegnato il disegno di un albero da
portare alla dimensione di 6 metri per 2 partendo da un foglio che
era, se non sbaglio, circa 30 x 20. Fatto con un pennino piuttosto
grosso, ma pue sempre un pennino. Gli scenografi hanno ingrandito il
disegno, ma non i segni e l'effetto è stato molto deludente […] ho
misurato lo spessore del mio segno, circa un decimo di millimetro, e
ho fatto la proporzione con le dimensioni che avrebbe assunto. Quel
segno di pennino è diventato largo circa otto centimetri, quindi il
pennello da usare doveva avere la stessa larghezza. Inoltre ho
azzardato un'altra richiesta, più difficile, allo scenografo
incaricato della realizzazione. Gli ho detto che ad ogni segno non
avrebbe dovuto far oscillare distrattamente la mano, ma in ognuno,
dall'inizio alla fine, si sarebbe dovuto capire che dentro c'era un
suo pensiero. Non so cosa abbia capito, ma il risultato è stato
ottimo.»
Scenografie e costumi ideati da Tullio Pericoli per il melodramma “Elisir d'amore” di Donizzetti andato in scena all'Opemhaus di Zurigo nel 1995 e al Teatro alla Scala di Milano nel 1998.
Secondo Luca Ronconi, con cui Gae Aulenti condivise un sodalizio artistico durato
dagli anni ’70 alla sua morte nel 2012, «la segreta contraddizione
su cui si regge ogni messa in scena è quella di essere una sorta di
architettura senza fondamenta o quanto meno dotata di fondamenta
paradossalmente mobili»: qui possiamo ritrovare il significato di
tutte le metafore architettoniche costruite sulla scena da Aulenti.
Testo e
immagine, i due estremi del linguaggio – la semiotica e
l’iconologia – si fondono: nel “Re Lear” del 1995 per esempio
la follia e il linguaggio sconnesso corrispondono alle pareti
barcollanti della scena in lamiera, instabile benché apparentemente
robusta.
Gli
abeti rossi abbattuti dalla tempesta «Vaia» che nell’ottobre 2018
ha colpito anche i boschi del Friuli Venezia Giulia, rinascono sulla
scena de «Le Troiane» al 55° Festival del Teatro greco di
Siracusa. la tragedia di Euripide narra della malasorte delle donne
troiane rese schiave dai greci vincitori della guerra di Troia.
Dice
il regista Edoardo De Angelis: «Dimenticate concetti come non luogo
e senza tempo. Questa Tosca del Teatro San Carlo è collocata in un
tempo e un luogo così precisi da essere ogni luogo e ogni tempo».
scene
di Mimmo Paladino, Teatro San Carlo di Napoli, 2020.