Audrey Beardsley


 Audrey Beardsley
(Brighton, 21 agosto 1872 – Mentone, 16 marzo 1898)

Attingiamo ancora da "Vor Bildern, Geschichten un Gedichte" di Robert Walser, in italiano per Adelphi "Ritratti di Pittori" nella traduzione di Domenico Pinto.

Da sottolineare l'ironica compiacenza a conclusione del testo di Walser che esplicita una delle intenzioni caratterizzanti questa pagina.



Avete mai visto qualche disegno di questo inglese che possiamo immaginarci soltanto come giovane? Non ho dubbi che se ne andasse in giro vestito sempre con molta eleganza. Della sua vita, invero, non so altro se non che si trasferì a Parigi perché evidentemente attratto in quella città da una forma di nostalgia. Prese in affitto una grande stanza dalla tappezzeria fine. Le stanze, com'è naturale, saranno state anche due, e persino tre. Qui leggeva un gran numero di libri e in più disegnava, o forse in prima battuta disegnava e non leggeva che in seconda, in terza o persino in quarta battuta.

Ricordo d'aver visto un meraviglioso paio di forbici da lui disegnato. Quando magari era un po' stanco di disegnare, prendeva penna e calamaio per darsi alla letteratura. Di suo lessi un libriccino di prose che aveva dell'incantevole, ossia mi parve composto, vale a dire scritto, in modo assai estroso e pieno di gusto. Ogni tanto scriveva anche poesie. Soprattutto però disegnava, trasognato, con la stessa tenerezza di una primavera. Ma rimarchevole, oltre a ciò, era che non gli difettavano quella fermezza cui arride qualcosa di festivo e un nitore che parla di voluttà. Se la mia idea di lui risponde al vero, per giorni interi se ne stava sotto le coltri sontuose del suo letto, con un'indolenza aggraziata e calcolatissima. La sua indolenza somigliava a un lavoro.


Le figure uscite dalla sua matita avevano questo, che si poteva credere fossero stati i fringuelli e i pettirossi, esultando e amoreggiando melodiosamente, ad aver creato tali ricami, così dovremmo definire le sue opere d'arte. Divenne un illustratore di fama? Certo! Andò spesso a teatro? Lo credo bene. Morì precocemente? Così pare! Esiste fra l'altro una sua tavola in cui è rappresentato un cero che arde. È probabile che nessun disegnatore abbia mai reso il fiammellio di un cero in modo così cereo, così fiammellante. Impossibile dire quanto fossero tentatrici le labbra delle donne che disegnava, quanto delicati i loro nasini; e disegnava donne cui viene acconciata la chioma, e ci guidava in punta di matita nei giardini dalla più inestricabile e lussureggiante vegetazione.


Quando sentì approssimarsi la sua fine terrena, alcune cose che aveva prodotto presero a infastidirlo, in modo, ahimè, forse un po' eccessivo. I motivi erano di poco o nessun conto. Semplicemente si sentiva debole e basta, la malattia ci rende più buoni del dovuto nei confronti della società e dei nostri simili. Forse era innamorato del gesto di chiedere scusa, dal momento che era assai sensibile. Forse gli occhi che ha osato mostrarci davano fin troppo eloquente testimonianza di saper godere il mondo, ma quest'uomo buono adesso è pentito, e non solo di ciò, con una sincerità che deve muovere a vergogna chi ha gettato sguardi divertiti alle tavole che a lui costarono tormenti, cosa che ben si sarebbe risparmiato, se l'insensibilità gli fosse stata peculiare.

Oggi sembra essere un po' caduto in oblio.

Ecco, queste righe lo ricordano.

È carino parlare di qualcuno che non è sulla bocca di tutti.

Facendolo, vien quasi da dirsi bravo.