GAETANO GINEX

 


Gaetano Ginex è nato a Palermo, nel 1953. Si è laureato in architettura con lode nel 1978.

Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Rilievo e Rappresentazione del Costruito.

Dal 1994 ad oggi Insegna alla Facoltà di Architettura di Reggio Calabria.

Fa parte dell’U.I.D. (Unione Italiana per il Disegno) e del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca in "Architettura e Territorio".

Nel 1990 ha fondato il CESM (Centro Studi di Cultura Mediterranea).

È stato coordinatore Scientifico della rivista di Architettura Controspazio e dal 2010 fa parte del Dipartimento d’ArTe dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

Svolge la sua attività di architetto e docente tra Palermo e Reggio Calabria.



- Innanzitutto una sua definizione di Architettura o in quale, tra le definizioni storiche, si riconosce?

- Mi rivedo concettualmente in due definizioni una di William Morris e una di Adolf Loos:

Morris: “ Il mio concetto di architettura abbraccia l'intero ambiente della vita umana; non possiamo sottrarci all'architettura, finché facciamo parte della civiltà, poiché essa rappresenta l'insieme delle modifiche e delle alterazioni operate sulla superficie terrestre, in vista delle necessità umane, eccettuato il puro deserto;

Loos: “Se In un bosco troviamo un tumulo, lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto qualcuno. Questa è architettura”. Quest’ultima ha “ritmato” la mia formazione di architetto ! anche in riferimento ai temi della “Forma” e del “Modello” in quanto “Archetipo” dove la nozione di “capanna primitiva” come architettura assume il ruolo di modello teorico universale. Questi paradigmi rappresentano una costante che attraversa la storia del pensiero architettonico.


ARCHITETTURE CELIBI, acquarello, 2017.

- Quale indirizzo scolastico ha frequentato prima di iscriversi alla Facoltà di Architettura?

- Ho frequentato il Liceo Scientifico Don Bosco dai Salesiani. Un Liceo Scientifico tendente più verso il Classico, poiché la Filosofia era ritenuta la materia principe anche se i preti cercavano di sottrarci a qualche autore e comunque da lì inizia, forse per reazione, la mia costante curiosità verso il pensiero filosofico, che poi mi ha indirizzato a scegliere una facoltà come quella di Architettura che bene si collocava tra il pensiero filosofico e il pensiero scientifico.



- Chi è stato il relatore della sua Tesi di Laurea e quale era il tema?

- Era la fine degli anni 70 e il tema dei Centri Storici Italiani era molto dibattuto. In tal senso mi indirizzai con un gruppo di colleghi, verso una tesi sul Centro Storico di Palermo con due relatori che mi seguirono nei successivi anni influenzando in maniera determinante la scelta di volere restare ad insegnare all’Università: Margherita De Simone e Tommaso Giuralongo. Tommaso Giuralongo (dello studio Benevolo, Giuralongo, Melograni) in particolare lo ritengo il mio maestro, nel senso che mi insegnò a pensare da architetto ! e inoltre mi introdusse a lavorare con Giancarlo De Carlo in occasione del Piano Programma del Centro Storico di Palermo (1979/1982), esperienza determinante per la mia formazione professionale e umana. Consideriamo comunque che la Facoltà di Architettura di Palermo in quegli anni rappresentava la punta massima dell’insegnamento architettonico in Italia. Tutti i più grandi nomi di architetti accademici insegnavano a Palermo: Gino Pollini, Vittorio Gregotti, Francesco Tentori, Leonardo Benevolo, Alberto Samonà, Pierluigi Nicolin, Massimo Scolari. tutti docenti della Facoltà di Architettura che in quegli anni frequentavo. Inoltre in quegli anni si costruivano a Palermo lo ZEN e i Dipartimenti di Matematica a Viale delle Scienze di Gino Pollini e Vittorio Gregotti. Un fermento veramente unico !!!


EIDOS MECCANICHE ARCHITETTURALI (OMAGGIO A JOHN HEJDUK), acquaforte su rame, 2014.

- Quali sono stati i suoi maestri storici di riferimento?

- Ho iniziato a studiare architettura nel 1972. Mi sono formato all’insegna del Movimento Moderno ma in modo particolare i miei studi erano, coerentemente con i corsi universitari, orientati verso lo studio dell’architettura degli anni Settanta. Gregotti e Rossi per l’Italia, il Team X con Aldo van Eyck e Ungers per l’Europa ma anche, Louis Kahn per l’America, (mi torna in mente che Gregotti ricordò in una sua lezione la grande figura di Louis Kahn morto qualche giorno prima, era il 1974). Ma anche Robert Venturi, John Hejduk e Peter Eisenman in modo particolare. Di Eisenman mi attirava l’architettura come modello teorico che poi negli anni è stato il tema delle mie ricerche, ma anche dei miei disegni. Studiavo con molta passione El Lissitzky, Malevic il Suprematismo e il Costruttivismo russo. In particolare i “Proun Spaziali” di El Lissitzky intesi come “stazioni di transito dalla pittura all'architettura” che mi introdussero al disegno assonometrico che non ho mai abbandonato. Mi interessava esplorare la frammentarietà dell’architettura, la nozione di Elemento mi affascinava. Furono gli anni di Pierluigi Nicolin che insegnava a Palermo con lezioni memorabili e in quel periodo i numeri della rivista di architettura Lotus International da lui diretta, diventarono il supporto teorico del mio percorso universitario ma non solo del mio, direi di tutta la mia generazione. Fu in quegli anni appunto che mi “innamorai” di Aldo van Eyck architetto olandese del gruppo del Team X, per tramite di Pierluigi Nicolin che in una indimenticabile lezione su van Eyck mi fece scattare una scintilla che poi accese un interesse che dura fino ad oggi. Gregotti in Italia comunque restava un punto di riferimento certo, anche perché in quegli anni si realizzavano i suoi primi importanti progetti tra cui l’Università delle Calabrie a Rende. Conobbi in occasione del Piano Programma del Centro Storico di Palermo, oltre a Giancarlo De Carlo, anche Giuseppe Samonà che lasciò una traccia indelebile alla mia formazione ! in particolare per lo studio della morfologia urbana, altro tema teorico a cui sono ancora oggi interessato come tema di ricerca nell’attività universitaria. Vorrei sottolineare che uno degli aspetti più interessanti della ricerca sull’architetto olandese Aldo van Eyck era rappresentato dal riferimento alle culture arcaiche e alla ricerca degli archetipi che ha rappresentato nella mia formazione un momento decisivo, ed in questo senso vanno visti gli interessi per l’architettura senza architetti, tema sviluppato poi nel Dottorato di Ricerca e nel successivo Post dottorato, ma parlo di molti anni fa !. Tutto ciò ha indirizzato comunque i miei studi a ricerche sul disegno e sulla rappresentazione dell’architettura, materie che tutt’oggi insegno all’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria cercando per quanto possibile di ampliare gli orizzonti del disegno che non sono solamente gli orizzonti digitali come comunemente si pensa.


ELEMENTARY, disegno a china su carta, 2018.

- A parte l'attività strettamente professionale, realizza disegni indipendenti da progetti finalizzati alla costruzione o pratica altre forme di espressione artistica?

- Raramente scindo la mia professione di architetto dalla pratica del disegno quotidianamente esercitata, “Nulla Dies Sine Linea” che nel significato comune sottolinea l’importanza dell'esercizio quotidiano del disegno. Il disegno così rappresenta sempre un modo per pensare quotidianamente all’Architettura ma anche alla vita in tutte le sue sfaccettature. Sogno e disegno città mai trovate e ho un interesse particolare al concetto di “Archetipo” e in tal senso il mio pensiero, ma anche il mio disegno, è sempre una costante ricerca della “Forma” in cui tempo e memoria, architetture e segno interagiscono in maniera costante. Ciò mi porta ad avere un pensiero morfologico in cui il disegno rappresenta il luogo concettuale in cui si sperimentano in un “cantiere ideale” l’origine delle cose. Ed è proprio per questi motivi che porto sempre con me un taccuino dove annoto il rimando costante tra il visibile e l’invisibile. Pratico con molta dedizione il disegno come schizzo, come atto primario, originario, istintivo e immediato di un pensiero architettonico, al fine di studiare con più accuratezza, scavandola sino ai suoi estremi, la “Forma” nelle sue infinite trasformazioni. Una forma ovviamente archetipica, che comunque viene sempre ripresa da un panteon mnemonico che è sempre in costante evoluzione. Da una parte con il disegno, cerco di interpretare il comportamento archetipico dell’uomo nei confronti dell’architettura e dall’altro utilizzo l’immenso museo di architetture presente nell’esperienza costruttiva dell’umanità.


ESERCIZI COGNITIVI, disegno a china su taccuino, 2018.

- Quale è la differenza tra "disegno di architettura" e "progetto"?

- Il disegno può essere inteso come un unico linguaggio espressivo proprio degli architetti in cui limiti, differenze e separazioni potrebbero rappresentare insiemi distinti. Non tutti i disegni svelano la complessità di una architettura, ma più disegni differenziati possono dare una visione più ampia e più rispondente alla realtà in un linguaggio che è strettamente proiettato verso la definizione della scrittura dell’architetto. I disegni dell’architettura possono essere diversi nel definire un modello architettonico e ogni disegno inteso nella sua specificità, come insieme distinto, può definire un percorso che dalla conoscenza dell’architettura conduce al progetto.

IL VOLO DI ADE, acquarello, 2016.
Ne viene fuori che anche se spesso noi trattiamo separatamente i diversi tipi di disegni è inevitabile che tutto confluisce in un unico spazio mentale perché tutte le forme di rappresentazione sono mischiate e confuse insieme e alla fine definiscono comunque il disegno inteso nella sua interezza di rappresentazione e scrittura dell’architetto.

Questo ovviamente conduce alla riflessione sul progetto di architettura e più in generale alle teorie del disegno, dal “disegno di architettura” al “progetto” come rappresentazione compiuta dell’architettura stessa. E comunque resta sempre valido “ imparare a vedere prima di disegnare”.. E’ possibile quindi rendere distinguibili le differenze tra i vari tipi di disegno indicandone chiaramente i fini di ciascuno attraverso procedure che consentano di valutare l’intera esperienza del disegno inteso sempre come una unica esperienza di scrittura architettonica. In ultimo riflettiamo sul fatto che la stessa parola progettare allude ad un’attività di rappresentazione/raffigurazione nelle sue più ampie accezioni.

ESERCIZI TRAS-FIGURAZIONE, disegni a china su cartoncino Canson, 2018.

- Può dirci qualcosa sul suo processo creativo?

- Il mio processo creativo, se così lo vogliamo chiamare ! esplora la frammentarietà dell’architettura. Attraverso il disegno intendo ripercorrere un itinerario mentale per annotare memorie di luoghi e fissare immagini permanenti che di essi ne sono memoria. Ogni disegno che faccio si presenta all’interno di un quadro di ri­ferimento più generale così da costruire una complessa stratificazione di riflessioni sul tema e sui suoi modi di rappresentarsi, sul suo farsi reale immagine, come analitica indagine che classifica i suoi ele­menti. E’ soltanto, questa unicità del mio disegno che permette una ‘idilliaca danza’ di segni che assumono il ruolo di permanenza e di principio compositivo dell’intero disegno. (ne ho inseriti alcuni) Disegni che rappresentano tessere di un ipotetico mo­saico e tentano di ricomporre una ‘mappa’ di forme ri­correnti come sommatoria di parti e allo stesso tempo identificare una continuità in cui Forma e Architettura si integrano rappresentando un archetipo di riferimento che attribuisce alla città e alla sua ‘eterni­tà’ un riconoscimento culturale universale e unico. Una ricorrenza di elementi in un si­stema integrato di forme elementari che rappresentano una chiave di lettura di un paradigma elementare che riconosce un principio di crescita della costru­zione della città (intesa in questo caso come architettura “assoluta”). Questa opera di de-strutturazione messa in atto attra­verso il disegno fa emergere la ricchezza o la pochezza del nostro sistema mnemonico. Non tutti i disegni quindi svelano allo stesso modo la comples­sità di una architettura, ma (come abbiamo detto prima) diversi tipi di disegni insieme possono dare una visione più ampia e più rispondente alla realtà in un linguaggio strettamente proiettato ver­so la definizione di un unico “spazio mentale”.

Frontespizio per KIRIGAMI 10, Edizioni dell'Angelo 2020.
La riflessione sulle for­me e la loro interpretazione attraverso gli schizzi raccontano una storia fatta di rimandi, ricordi e di citazioni. attraverso una attenta operazione filologica che porta a collocare non più isolatamente un sistema architettonico ma al contrario inserirlo in un contesto più ampio che comprende altri linguaggi che esplora l’essenza stessa dell’architettura attraverso letture formali e strutturali. L’opera sceglie di essere rappresentata solo da quei disegni,” i disegni della sua identità”. L’esperienza del disegno diventa così un continuo rapporto tra pensiero e tracciamento come luogo della sintesi. Segno e idea allo stesso tempo. Il segno diventa solo idea riferendo­si all’idea della memoria come luogo mentale: Retroac­tive smoothening, interazione retroattiva tra spazio e relazioni (Deleuze). disegni in cui l’idea ar­chetipica spesso ne costituisce il fulcro generatore che con un “processo di scavo” rendono tangibile l’archetipicità propria di quella “Forma”.

Attraverso il mio “…disegno imperfetto” che potrebbe essere lo schizzo (che non distruggo mai) rappresento il “vero” disegno che alla fine con una espressione nel suo complesso non del tutto espli­citamente definita, rappresenta una vocazione in­cessante a una realtà più desiderabile che davvero con­cretabile…


PAESAGGI FRONTALI, disegni a china su carta, 2018.

- Lei ha vissuto il passaggio dalla rappresentazione manuale a quella digitale, ritiene che questo cambiamento abbia modificato la modalità di elaborazione progettuale?

- Il passaggio dal manuale al digitale ovviamente ha portato qualche ! cambiamento ed in modo particolare nella modalità di elaborazione del progetto. Ma ciò è endemico. Pensiamo all’avvento della prospettiva e alla codificazione assonometrica di pari passo alla Rivoluzione Industriale. Quindi non sono in una posizione negativa rispetto alla questione posta, almeno da un punto di vista generale. Vedrei invece la questione sotto un diverso punto di vista ovvero come gli architetti della mia generazione hanno vissuto questo epocale cambiamento ? Tutti gli architetti e tutti gli studi si sono ovviamente attrezzati seguendo questa “onda”. Si esplora un nuovo concetto in architettura chiamata “fluida” accompagnata da una costante ricerca sperimentale sul virtuale. Si realizza il museo di Gehry a Bilbao, Peter Eisenman costruisce un parlare senza parole; un’architettura del silenzio e della trasparenza; un linguaggio ridotto a forma pura dove è paralizzata la dimensione semantica e assume un peso illimitato quella sintattica. Si riprendono le teorie di McLuhan con il concetto di “medium”. La tecnologia fa emergere caratteri nuovi di cui il CAD ne è un esempio: realizzare forme tridimensionalmente complesse e difficilmente controllabili attraverso gli strumenti tradizionali del disegno, il virtuale non è altro che la trasformazione del pensiero in spazio architettonico “illusorio”. “Così come è nata una civiltà informatica completamente diversa da quella meccanica è nata una nuova architettura profondamente segnata dalla scrittura elettronica, un’architettura fatta più di nervi che di corpo” (McLuhan). Non vi è più antagonismo o confronto o mimesi fra una realtà statica e una dinamica ma entrambe vivono nel più generale processo delle mutazioni attivato dalla nuova società informatica. Ovviamente in questo panorama alcuni protagonisti hanno già captato lo spirito del tempo producendo una nuova stagione di capolavori e quindi diventa possibile che Kandinsky e altri si “trasformano” attraverso l’informatica in modelli da concettualizzare in architettura vedi per esempio tutto il processo creativo di Zaha Hadid. Ricercare così una nuova spazialità con paradigmi diversi da quelli fin qui assunti ! La ricerca progettuale dimostra che il progetto può essere frammentato sino a dissolvere la sua materialità, sino a diventare pura energia e movimento. Il concetto di “proiezione” assume connotazioni nuove: proiettare= gettare fuori o avanti, lanciare oppure inviare su uno schermo. (Derrick de Kerckhove). Tutte le architetture pensate vengono dissolte in una sorta di “atomizzazione” che permette di ridurre la complessità di un progetto a pochi elementi base, rendendo possibile il passaggio da un medium all’altro. Da ora ci si occuperà di spazialità architettonica come di una nuova scrittura dell’architetto in cui l’interconnessione dinamica ne è il vero motore. Il mio primo computer l’ho acquistato nel 1990 quindi molto in ritardo rispetto alla sua nascita e al suo sviluppo. Solo all’ora cominciai a pensare ai mezzi informatici. E in modo particolare al disegno informatizzato. Mi cominciavo ad interessare di modellistica tridimensionale legata in parte alla mia passione per l’assonometria. Ebbi un maestro straordinario, un amico dal brutto carattere che però quando si parlava di disegno al computer diventava disponibile, allegro, curioso e interessato a tutte le novità possibili in termini di software. Nonostante l’età (aveva da un pezzo superato i sessantanni) dimostrava un interesse incontenibile verso tutto quello che era l’informatica...e poi il futuro... Gli artisti hanno sempre lavorato con la spazialità e questa spazialità digitale diventa il punto di partenza per nuove ricerche sulla Forma. Per quanto mi riguarda non sono mai diventato un architetto che usa il digitale come pratica per il progetto o per il disegno, continuo ancora con i miei schizzi i miei diagrammi, che esplorano l’archetipicità delle cose, che diventano, nell’esplorazione di un tema progettuale, le infinite possibilità di una forma per diventare realtà costruita e questa posizione introduce la risposta alla domanda successiva.


STUDI PER IL PROGETTO DELLA CHIESA DI RIZZIGONI IN CALABRIA, diegni a china su carta, 2019.

- Come docente universitario, ritiene che la generazione dei cosiddetti "nativi digitali" abbia un diverso modo di concepire lo spazio e la forma?

- Gli anni Novanta del '900 hanno aperto una nuova via alla ricerca architettonica animata da uno sperimentalismo verso le nuove ricerche in cui si iniziavano a sperimentare strutture complesse e spazi interattivi. Si presentavano nel panorama internazionale figure di architetti “digitali” come Nox, Osterhuis, Perrella, Greg Lynn, Reiser e Umemoto, solo per citarne alcuni. Tutto questo diventa per le nuove generazioni di architetti (considerando il fatto che già dentro le Università si raccontavano i progetti di questi pionieri della nuova architettura digitale) un fenomeno culturale percepito come fatto naturale, che sviluppa conseguentemente nuovi modelli e strutture mentali. Si assiste ad una accelerazione inedita nei processi di trasformazione emerge una nuova ontologia postorganica fondata sulla contaminazione tra tecnologie, che dilata i confini tra reale e virtuale. La rivoluzione informatica diventa una vera e propria sfida estetica diffondendo i nuovi paradigmi culturali di cui è portatrice. 
Questa è la generazione nata con il computer. La Information Technology apre un versante di ricerca architettonica che automaticamente ne muta gli obiettivi, i confini disciplinari, gli strumenti e lo stesso processo di elaborazione ed infine i risultati. Come avvertiva McLuhan, “ le tecnologie informano di sé qualsiasi cosa trasmettano, influenzando di conseguenza l’immaginario contemporaneo. E loro rintracciano nello stesso strumento le ragioni per una nuova concezione dello spazio e della forma” Il nuovo modello informatico diventa il nuovo topos della contemporaneità, trasformando alla radice gli stessi ragionamenti mentali, e la stessa capacità di elaborazione. In questo complesso panorama: “la sfida è già aperta per i nati con il computer”. Nel 1998 inizia la pubblicazione degli splendidi volumetti della serie: “The 'IT Revolution in Architecture” Una raccolta di pensieri e punti di vista che apre la strada all’Information Technology e Computer Aided Architectural Design. Da questo momento i libri della serie fanno parte delle biblioteche personali di studenti di architettura in tutto il mondo e di conseguenza dentro le Facoltà di Architettura si verifica una trasformazione direi senza precedenti ! il mondo digitale innesca le sue radici. Trentotto volumi editi dal 1998 che diventano sostanziale nutrimento per i “nativi digitali”. I giovani (e meno giovani !) sperimentano geometrie prima inattuabili e si inizia l’era dell’esperienza realistica di uno spazio non costruito !

Credo comunque che anche questa era sia nella sua fase discendente ! Vedremo…


STUDI SU MEDITERRANEA CITTADELLA DI ALEPPO, china e acquarello, 2016.


- Loos diceva: "Il presente si costruisce sul passato, così come il passato si è costruito sui tempi che l'hanno preceduto", quale è il suo rapporto con la tradizione e l'innovazione della contemporaneità?

- Questa domanda mi fa tornare in mente i famosi sinonimi di un grandissimo intellettuale italiano sulla sorprendente attualità del tema “sviluppo e progresso”. Bisogna avere chiaro il senso di queste due parole, se vogliamo capirci in una riflessione che riguarda la nostra professione in rapporto alla tradizione, all’innovazione e alla contemporaneità. In Italia, viviamo uno sviluppo senza progresso da quando gli italiani furono coinvolti nel passaggio dalla società contadina a quella industriale e urbanizzata. In più oggi verifichiamo sulla nostra pelle che il tempo è dominato dall’informatica e dalla vita che si frammenta sul digitale dei social network. Noi assistiamo increduli all’irresponsabile e non sostenibile sviluppo di un pianeta dalle risorse ormai quasi finite. Se consideriamo tradizione una immutabilità celata in cui lo sviluppo diventa fine a se stesso e non mezzo per una vera innovazione, ma al contrario un regresso rappresentato dal degrado dell’ambiente naturale ciò porterà inevitabilmente ad un impoverimento della società in termini di sviluppo culturale in cui la contemporaneità sarà vissuta come un falso progresso che investe inevitabilmente la qualità della vita e delle relazioni umane, rappresentando solo una nozione ideale. (P.P.P.) […]dove lo “sviluppo”, invece, è un fatto solo pragmatico ed economico […].

STUDI SUL CAPITELLO DI THERMES, disegni a china su carta, 2017.

- Ritiene sia un principio ancora valido che una nuova architettura si relazioni al contesto?

-Una buona architettura si relaziona per sua natura al contesto ! Anche in questo caso vanno fatte delle precisazioni. Il riferimento al contesto implica una continuità organica della vita urbana. Tutto diventa organico ed esteticamente rilevante quando le “geometrie” della città (e del contesto !) diventano poeticamente articolate e non si percepisce più la differenza tra forma urbana e forma degli edifici. Ogni cosa riflette la mutabilità compositiva dell’intero. Ogni singola architettura per essere una “vera” architettura, non è solo parte della città ma è essa stessa una città in miniatura sino al punto da essere autonoma ed autosufficiente. In questo senso anche se l’oggetto architettonico non è apparentemente integrato alla città deve essere esso stesso una città autonoma, per farne coerentemente parte di essa. L’architettura è un procedimento formale in cui la “composizione” è poeticamente articolata al fatto simbolico. In questa ottica la città e il contesto, non rappresentano solo un sistema architettonico di riferimento, ma piuttosto rappresentano un sistema ideale, simbolico ed estetico con cui confrontarsi. E comunque mi identifico e mi riferisco sempre a queste parole in merito alla domanda posta: […] Architetti e urbanisti si son fatti specialisti nell’arte di organizzare la miseria fornendole l’arbitrario. Il risultato è assai vicino al crimine. Chiunque tenti di risolvere in astratto l’enigma dello spazio costruirà dei contorni per il vuoto e li chiamerà architettura. Chiunque tenti di incontrare l’uomo in astratto, non parlerà che con la propria eco e dirà che è un dialogo. Il respiro dell’uomo va e viene ancora, dal e nel suo petto. Quandol’architettura saprà fare lo stesso ?[…] (A.v.E.)


STUDI PER “ARCHITETTURA INCISA”, disegni a china su carta, 2018.


- Come ultima domanda, di strettissima attualità, le chiedo un'opinione sulla "Didattica a Distanza" nell'ambito della sua disciplina di insegnamento universitario.

- La didattica a distanza non è una cosa che stiamo sperimentando ora per l’emergenza pandemica che drammaticamente viviamo, essa ha già influenzato e in parte contaminato già da tempo il sistema tradizionale della didattica. Vedi le innumerevoli università telematiche che sono sorte negli ultimi decenni ! Ciò porta invece ad una attenta riflessione sulla “sospensione della socializzazione”. La situazione attuale mette in discussione ciò di cui finora ci vantavamo di avere: il progresso, pensavamo di controllare tutto e adesso facciamo i conti con la nostra globalizzazione sbandierata a più non posso. Bisogna prendere atto di questa nuova situazione. Sicuramente questo è un momento di “sospensione”, sospendere ad essere bravi, efficienti e attivi e progrediti a tutti i costi !. E’ un tempo di spaesamento e di vuoto e a questo dobbiamo fare fronte cercando di interpretare che la nuova socializzazione non è ridotta solo alla propria parvenza digitale. Se la didattica viene diffusa via internet “dimenticando” almeno per adesso, le esperienze fisiche del guardarsi in faccia, è pur vero che la rete digitale ha reso possibile la connessione tra noi (docenti e studenti) nel tempo in cui non c’è possibilità di incontro, mi viene da pensare: bene, ottimo, in questo caso ha dimostrato la sua utilità (Galimberti). Questa difficoltà di incontrarsi, sicuramente ci renderà più forti, ci farà capire le falle di una globalizzazione priva di rispetto per i valori della vita affermando un nuovo forte sentimento di solidarietà. Per quanto riguarda la mia disciplina di insegnamento che è il disegno, una cosa è disegnare al computer e un’altra è ragionare sulle scelte fatte sul piano progettuale, ragionare sulle ricadute nel territorio in base alle nostre scelte formali, Siamo “costretti” a ragionare e a pensare come se non avessimo più bisogno del nostro prossimo poiché coccolati dalla tecnologia. Si sa che l’uomo è nato per stare in società. Viene a mancare la comunicazione verbale in presenza, che nel caso del rapporto tra docente e studente si concretizza in un feedback indispensabile che però diventa irreale in quanto l’intenzione di rendere trasmissibile un’idea o un concetto viene mediato dal medium virtuale quindi in un’altra forma comunicativa che ci appartiene solo in parte e di cui solo ora ne prendiamo piena coscienza. Questo potrebbe essere il futuro stato comunicativo in cui il medium si sovrappone al messaggio complesso del feedback e dell’interfaccia ! (MacLuhan). E’ chiaro quindi che la didattica a distanza ha una doppia valenza, una illusoria che non ci consentirà le interfacce (faccia a faccia) come giuntura tra soggetti, non consentirà i confronti verbali e tutto ciò che è implicito al linguaggio simbolico del disegno, che risale alla preistoria e l’altra di aumentare sempre più il nostro stato “liquido” in cui per esempio trattare di disegno al computer ti escluderà per sempre dal sentire l’odore della grafite che “incide” il foglio da disegno. Potrà sembrare banale ma anche il fatto di non utilizzare più i paradigmi protocollari del disegno/progetto porterà ad una sorta di estraniamento dall’idea di architettura in quanto essa stessa nel mondo digitale è perfezionabile solo attraverso un procedimento esteticamente virtuale e coerentemente tecnologico ! E’ un impoverimento delle valenze creative e esteticamente universali dell’idea che può essere messa in evidenza solo attraverso la capacità di connettere pensiero e forma per una paziente costruzione dell’opera architettonica. I greci usavano per disegno i termini graphè o skeriphos che significano appunto l’atto di incidere. Anche in questo caso viviamo un cambiamento dei paradigmi nei confronti della pratica artistica dell’architettura, da cui non possiamo più sottrarci, assistendo inevitabilmente, indifesi, alla perdita della relazione diretta tra pensiero e “incisivo” gesto della mano.

PLAQUETTES 02, 07 PER “ARCHITETTURA INCISA”, Edizioni dell'Angelo 2017 – 2019.